La dea Kumari risiede in un sontuoso palazzo nella piazza Durbar a Kathmandu. Ai fedeli non è consentito entrarvi e si può solo accedere al cortile ma la dea bambina si fa vedere a discrezione delle sue assistenti.

Durante il mio breve viaggio in Nepal non l’ho vista, ma mentre ero in quel cortile, isolato dai rumorosi festeggiamenti di Holi e dal resto del mondo, mi è stata raccontata la sua storia, che ha suscitato in me un forte senso di compassione per quella piccola creatura.

La guida locale ci ha raccontato che i nepalesi venerano la dea Kumari, una bambina che incarna la dea Taleju. In passato vi era una dea Kumari anche nei piccoli villaggi e sicuramente una in tutte le più importanti città della Valle di Kathmandu, come a Patan e a Bhaktapur. Oggi solo la dea Kumari che vive a Kathmandu ha mantenuto il titolo reale ed è l’unica che che pone la tika, il sacro segno rosso, sulla fronte del re.

Alle sole bambine è riservato questo “onore” (considerato tale dai genitori). Le candidate vengono scelte da sacerdoti buddisti e devono provenire dalle famiglie aristocratiche buddiste di discendenza newar. Successivamente vengono ricercate le 32 perfezioni, dei requisiti fisici che possiede ogni Kumari. Le piccole candidate che superano questo primo esame vengono rinchiuse da sole per un’intera notte in un’enorme stanza buia (la “sala del dio Agan“) dove vengono spaventate da uomini travestiti da demoni. In fondo alla stanza c’è una porta, che resta aperta: da questa porta le bambine possono uscire ma solo quella che non scapperà e resterà tutta la notte nella stanza potrà diventare una dea.
Chi resiste ai demoni della sala di Agan deve poi individuare tra una miriade di oggetti quelli che appartenevano alla precedente Kumari. Scelta la bambina, i sacerdoti la sottopongono a riti di purificazione, per poi portarla nel tempio della dea Taleju e infine nel Kumari Bahal, il palazzo in mattoni rossi nel centro storico di Kathmandu, dove vivrà da sola, lontana dalla sua famiglia, e circondata da donne che si prenderanno cura di lei.

La sua vita non è affatto semplice: non può parlare, non può vedere la propria famiglia, non può camminare al di fuori del tempio e non può ferirsi. Il sangue è ritenuto impuro: alla sua prima mestruazione la dea Taleju lascia il corpo della bambina e viene riportata alla sua famiglia. Kumari infatti significa vergine.

Il fatto di essere stata la dea Kumari non permetterà alla bambina, una volta diventata grande, di condurre una vita come le altre donne: si ritiene infatti che porti male sposare la bambina che è stata la dea Kumari perché, secondo la leggenda, il futuro marito morirà poco dopo il matrimonio. La cosa peggiore è che la piccola scoprirà questo suo triste destino solo quando uscirà dal tempio. Alcune delle passate dee Kumari si sono sposate e hanno avuto figli ma la maggior parte non trova marito.
In un Paese come il Nepal, ancora fortemente ancorato ai tradizionali valori della famiglia, il fatto che una donna non possa avere una famiglia è penalizzante. 

Molte persone criticano questa antica tradizione nepalese, ritenendo inaccettabile venerare una dea bambina che è costretta a vivere in questo modo, prima reclusa e poi di emarginata dalla società, ma nonostante le numerose critiche, la tradizione religiosa non è ancora stata abbandonata: per l’intera popolazione questa dea è simbolo di unità e di legittimazione del potere sovrano.

Ogni anno la dea Kumari viene celebrata con una festività chiamata “Kumari Jiatra“, che significa Processione della Kumari. La dea per tre giorni viene trasportata su un carro che percorre le strade di Kathmandu per poi raggiungere il centro della città dove legittima il potere del sovrano segnandogli la testa con la tika, un segno di polvere rossa: in questo modo il re potrà governare per un altro anno intero.

Su alcuni siti internet si può leggere che recentemente la Corte suprema nepalese ha permesso alla bambina che incarna la dea Taleju di andare a scuola. Probabilmente qualcosa in Nepal sta cambiando: forse si inizia a comprendere la necessità di garantire anche a queste bambine una vita come le altre loro coetanee, cercando di conciliarlo con la tradizione religiosa del culto della dea bambina.  


– Come ho scritto sopra, durante il mio soggiorno a Kathmandu ho solo visitato il cortile del palazzo della dea Kumari ma non ho visto la bambina. Di conseguenza le foto presenti in questo post sono state prese da internet e considerate di dominio pubblico. Cliccando sull’immagine è possibile risalire alla fonte originaria e al rispettivo autore. Immagine di testo: www.asianews.it –


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